Cibi fermentati, effetti sul benessere intestinale e FODMAP

da | Set 2, 2021 | Sindrome Intestino Irritabile | 0 commenti

Negli ultimi anni i cibi fermentati hanno subito un aumento di popolarità principalmente dovuta ai loro effetti benefici proposti per la salute intestinale, risultando, di conseguenza, appetibili per chi soffre della sindrome dell’intestino irritabile (IBS).

Cosa dice la scienza

Una revisione del 2019 ha confrontato diversi cibi fermentati più o meno comuni: kefir, kombucha, crauti, tempeh, natto, miso, kimchi, pane a lievitazione naturale e studiato i loro meccanismi d’azione (compreso l’impatto sul microbiota) e l’evidenza degli effetti sulla salute e sulle malattie gastrointestinali negli esseri umani.

Kefir

1. Origini

Il kefir tradizionale, originario delle montagne del Caucaso, è una bevanda a base di latte fermentato con una consistenza cremosa, sapore aspro e sottile effervescenza. È prodotto aggiungendo al latte una coltura iniziale chiamata “grani di kefir”. I grani di kefir sono costituiti da lieviti simbiotici che fermentano il lattosio (ad esempio, Kluyveromyces marxianus) e lieviti non fermentanti il ​​lattosio (ad esempio, Saccharomyces cerevisiae, Saccharomyces unisporus), così come i batteri produttori di acido lattico e acetico, alloggiati all’interno di una matrice di polisaccaridi e proteine chiamato “kefiran”.

Una vasta gamma di specie microbiche è stata identificata nei grani di kefir. Comunemente inclusi troviamo: Lactobacillus brevis, L. paracasei, L. helveticus, L. kefiranofaciens, L. plantarum, L. kefiri, Lactococcus lactis, Streprotcoccus thermophiles, Acetobacter lovaniensis, Acetobacter orientalis, Saccharomyces cerevisiae, S. unisporus, Candida Kefyr, Kluyveromyces marxianus e Leuconostoc mesenteroides.

Tuttavia, con la fermentazione, la composizione microbica del kefir può alla fine cambiare.

2. Kefir e Helicobacter pylori

Uno studio in doppio cieco su pazienti con dispepsia e infezione da H. pylori sotto terapia antibiotica per 2 settimane ha dimostrato che il kefir può essere una terapia aggiuntiva benefica durante il trattamento di questa infezioni. Nello studio sono stati confrontati l’assunzione di 500 ml/giorno di kefir rispetto a 250 ml/giorno di latte sui tassi di eradicazione dell’Helicobacter pylori, rilevando un tasso significativamente più alto nel gruppo kefir (78%) rispetto al gruppo di controllo (50%). Inoltre, diarrea, dolore addominale e nausea era significativamente inferiori nel gruppo kefir rispetto al controllo.

3. Kefir ed intestino

Sono stati condotti studi sull’uomo per indagare l’effetto del consumo di kefir sulla funzione e disfunzione gastrointestinale.

Ad esempio, uno studio su 15 persone con malassorbimento di lattosio ha portato al risultato che il kefir risulta essere ben tollerato da questa tipologia di pazienti poiché contiene batteri che esprimono la beta galattosidasi (ad esempio, Kluyveromyces marxianus) che idrolizza il lattosio, riducendo così le concentrazioni di lattosio nella bevanda stessa. Secondo lo studio, il kefir contribuirebbe a causare meno flatulenza rispetto al latte non fermentato grazie ad un contenuto di lattosio ridotto del 30% rispetto a quest’ultimo e sebbene contenga il 60% in più di beta galattosidasi rispetto allo yogurt bianco, entrambi digerirebbero il lattosio in misura simile!

Tuttavia, non sono state osservate differenze per la frequenza della flatulenza, dolore addominale e diarrea, e sono necessari anche ulteriori studi per stabilire l’impatto del kefir sulla stitichezza.

Ad oggi, sono presenti diversi studi sul kefir, ma hanno delle limitazioni: sono fatto su campioni esigui di persone, oppure non sono randomizzati e controllati e con differenti tipi di kefir utilizzati, rendendo difficile il confronto oggettivo. Pertanto, è difficile capire il suo reale impatto sul microbiota.

Inoltre, attualmente mancano anche studi randomizzati sugli effetti del kefir nei disturbi funzionali gastrointestinali (FGID).

Per quanto riguarda, invece, il kefir casalingo, esso lo si ottiene con un procedimento non controllato che porta a non conoscere la concentrazione dei batteri e la loro vitalità sul prodotto finito. Infatti, la presenza dei microorganismi dipende da vari fattori: origine dei granuli, tipo di latte, metodo di produzione, temperatura. Quindi, forse, meglio optare per quelli che trovate in commercio, senza aggiunta di zuccheri, o crema di latte. Ricordatevi di comprare quelli con solo due ingredienti: latte e fermenti lattici!

4. Kefir e FODMAP

La porzione di 23g è bassa in FODMAP.

64g contengono una quantità moderata di lattosio mentre 200g sono, invece, a bollino rosso. Se si soffre di malassorbimento di lattosio si può optare per la variante senza questo zucchero.

Kombucha

1. Origini

Kombucha è una bevanda a base di tè fermentato che si pensa abbia avuto origine nel nord-est della Cina intorno al 220 a.C. e che veniva consumato ampiamente durante la dinastia Qin.

Il kombucha tradizionale viene prodotto attraverso la fermentazione aerobica del tè nero (anche se può essere utilizzato il tè verde) e zucchero bianco con una combinazione di batteri e lieviti, nota come coltura simbiotica di batteri e lieviti (SCOBY). Il lievito converte lo zucchero in etanolo (oltre agli acidi organici e anidride carbonica) convertito poi in acetaldeide e acido acetico dai batteri dell’acido acetico.

Il consiglio è di porre molta attenzione se la bevanda viene prodotta in casa. Se accetti uno SCOBY da un/a amico/a, assicurati che lo SCOBY provenga da un ambiente sicuro e igienico. Difatti, può portare ad alcuni effetti indesiderati, con effetti collaterali come vertigini, nausea, vomito, mal di testa, dolore al collo, tremori, mancanza di respiro, senso di costrizione alla gola, ipotensione e reazione allergica. Pertanto, è estremamente importante conoscere le condizioni in cui è stato preparato il tuo kombucha ed essere consapevole dei rischi derivanti dal consumo di un kombucha preparato in casa.

È stato riscontrato che Kombucha contiene 5 phyla batterici: Actinobacteria, Bacteroidetes, Deinococcus-Thermus, Firmicutes e i batteri dominanti, Proteobacteria (il genere principale è Gluconacetobacter e in misura minore Acetobacter).

2. Kombucha ed intestino

Sebbene il kombucha sia una ricca fonte di acido acetico, batteri lattici e lieviti, non esiste alcuno studio pubblicato che esplori l’effetto del consumo di kombucha sul microbiota gastrointestinale e sulla salute gastrointestinale negli esseri umani.

Inoltre, il kombucha può contenere una piccola percentuale di alcol. Pertanto, questa bevanda non devono essere consumate da bambini, donne in gravidanza, persone che hanno sensibilità all’alcol o alcolisti che desiderano astenersi dall’alcol.

3. Kombucha e FODMAP

Il Kombucha (a base vegetale) contiene fruttani. Pertanto, sopra i 180ml questa bevanda potrebbe non essere adatta a coloro che non tollerano questi zuccheri.

Crauti

1. Origini

I crauti sono una delle forme più comuni di cavoli originari del IV secolo a.C. Sono prodotti da una combinazione di cavolo tritato e 2,3%-3,0% di sale, che viene lasciato fermentare spontaneamente, coinvolgendo generalmente Leuconostoc spp., Lactobacillus spp. e Pediococcus spp.

2. Crauti ed intestino

I crauti sono uno dei pochi alimenti fermentati per i quali esiste una sperimentazione clinica nell’ambito dei FGID.

Uno studio randomizzato in doppio cieco ha studiato gli effetti dei crauti contenenti batteri lattici sui sintomi gastrointestinali e sul microbiota in 58 pazienti con IBS di qualsiasi sottotipo diagnosticato utilizzando i criteri di Roma III. I pazienti hanno consumato 75 g/giorno di crauti pastorizzati – con meno carica microbico, ndr – (controllo) o non pastorizzati per 6 settimane. Tuttavia, non è emersa alcuna differenza nei sintomi tra i gruppi dietetici, se non per quanto riguarda la stipsi (sarà forse per il mannitolo?!).

3. Crauti e FODMAP

Il cavolo cappuccio comune che a crudo ha un basso contenuto di FODMAP in una porzione da 75g. Tuttavia, quando è fermentato per produrre crauti, risulta ricco di mannitolo.

I benefici dei cibi fermentati per l'intestino

Tempeh

1. Origini

Il tempeh è un alimento tradizionale indonesiano prodotto dalla fermentazione di semi di soia bolliti e decorticati con una coltura starter di specie fungine Rhizopus oligoporus a temperatura ambiente per 35-37 ore. Questo produce una composto morbido con una consistenza gommosa e un sapore simile a un fungo. La composizione microbica del tempeh varia poi a seconda della produzione.

2. Tempeh ed intestino

Ad oggi, non ci sono studi randomizzati sugli effetti del consumo di tempeh negli esseri umani.

3. Tempeh e FODMAP

100g di tempeh sono considerati a basso FODMAP. Porzioni maggiori rischiano di contenere fruttani e GOS.

Natto

1. Origini

Il natto è una soia fermentata tradizionale giapponese, di cui Itohiki-Natto è la più comune. Natto è prodotto attraverso la fermentazione di semi di soia gialla cotti con Bacillus subtilis var natto. Questo produce un alimento viscoso con un sapore distinto e un odore forte. Le caratteristiche del natto variano a seconda del tempo di cottura a vapore della soia, dell’umidità relativa, del tempo di fermentazione e della temperatura.

2. Natto ed intestino

Ci sono poche prove sugli effetti del natto sul microbiota gastrointestinale umano. Ad esempio c’è uno studio su un piccolissimo campione di 8 volontari, sani, in cui il consumo di una zuppa di miso per contrastare la stitichezza contenente natto per due settimane ha portato ad un aumento dei bacilli fecali e dei bifidobatteri, diminuendo Clostridi ed Enterobatteriacee.

Come si sul dire: una rondine non fa primavera. E neanche 8 pazienti fanno uno studio da cui prendere spunto per la popolazione. Infatti, sono necessari ulteriori studi che indaghino sull’influenza positiva del natto sulla frequenza delle evacuazioni nei pazienti con stitichezza e sul microbiota gastrointestinale.

3. Natto e FODMAP

Ad ora, non ci sono informazioni sul quantitativo di FODMAP in questo alimento.

Miso

1. Origini

Il miso è una pasta tradizionale giapponese di soia fermentata utilizzata per preparare la zuppa di miso. Il miso è prodotto dalla fermentazione di semi di soia con “Koji”, prodotto dallo Aspergillus oryzae, sebbene possono anche essere usati Saccharomyces cerevisiae e batteri lattici. Anche la produzione di miso varia notevolmente in termini di ingredienti, temperatura e tempo di fermentazione, sale, concentrazione e il ceppo di A. oryzae utilizzato.

2. Miso ed intestino

Al momento, non ci sono studi randomizzati che indagano sugli effetti del miso nei disturbi gastrointestinali funzionali e sul microbiota.

Uno studio con più di 9.000 soggetti giapponesi ha riportato una relazione inversa tra l’assunzione di zuppa di miso e reflusso gastro-esofageo e dispepsia funzionale. Tuttavia, il limite dello studio è che queste informazioni sono state ottenute con la compilazione di questionari. Quindi è difficile trarne delle conclusioni oggettive.

3. Miso e FODMAP

Gli zuccheri che troviamo nel miso sono i fruttani. Sopra i 10g prestare attenzione se si è sensibili a questo zucchero.

Kimchi

1. Origini

Kimchi, che ha origine dalla Corea, è un termine usato per un gruppo di verdure salate e fermentate. Consiste infatti nel cavolo cinese e/o ravanelli e vari ingredienti aromatizzanti (ad esempio, peperoncino, pepe, aglio, cipolla, zenzero), condimenti (ad es. sale, salsa di soia, semi di sesamo) e altri alimenti aggiuntivi (ad es. carota, mela, pera, gamberetti. Per produrre il kimchi, il cavolo viene quindi salato e scolato. Il resto dei condimenti, delle spezie e dei prodotti alimentari vengono aggiunti e mescolati con il cavolo, e infine avviene la fermentazione. La fermentazione avviene spontaneamente grazie ai microrganismi che si trovano naturalmente sul cavolo e sugli alimenti inclusi nella miscela, sebbene le colture starter possano essere utilizzate per la produzione commerciale di kimchi.

2. Kimchi ed intestino

Diversi studi hanno indagato l’impatto del kimchi sul microbiota intestinale, ma restano studi con pochissimi soggetti e quindi sono necessarie ulteriori ricerche.

Ad esempio uno studio non randomizzato di 6 persone in Corea del Sud ha dimostrato che il consumo di 300 g/giorno di kimchi per 4 settimane ha aumentato le concentrazioni nelle feci di Lactobacillus e Leuconostoc, e una diminuzione del pH delle feci, rispetto a 60g/gg di kimchi. Per quanto riguarda gli effetti del kimchi sull’eradicazione dell’H. pylori uno studio con 6 persone non ha portato ad alcuna eradicazione né con un consumato di 300 g (dose alta) né con 60 g (dose bassa) di kimchi per 4 settimane.

Studi epidemiologici hanno osservato un’associazione tra consumo di kimchi e cancro gastrico nella popolazione coreana, suggerito dal suo contenuto di nitriti, nitrati e sale. Tuttavia, uno studio su 136 persone con cancro gastrico ha osservato che la diversa preparazione e tipologia di kimchi è associata a rischi diversi di insorgenza.

Al momento non ci sono studi randomizzati che indagano sugli effetti del kimchi nei FGID.

3. Kimchi e FODMAP

Il Kimchi contiene mannitolo. Pertanto, sopra i 70g potrebbe non essere adatto a coloro che non tollerano questo zucchero.

Pane con lievito madre

1. Curiosità

La coltura starter del lievito naturale è prodotta attraverso la fermentazione della farina da parte dei batteri lattici e lieviti che provengono dalla farina stessa e dall’ambiente circostante.

A differenza del pane standard, prodotto attraverso un rapido processo di fermentazione con lievito di birra, si ritiene che la fermentazione simbiotica del lievito madre con batteri e lieviti migliori la qualità del pane, compresa la consistenza, il contenuto nutrizionale, il sapore. Potrà anche risultare leggermente aspro come conseguenza degli acidi prodotti dalla fermentazione (come l’acido acetico e l’acido lattico) i quali contribuiscono anche alla durata di conservazione naturalmente più lunga. Inoltre, il processo di fermentazione genera anche i gas che aiutano la lievitazione (indispensabili per la mollica di pane aerata).

Il contenuto microbico del lievito madre varia in base alle pratiche tradizionali utilizzate. Pertanto, non solo il gusto e la consistenza, ma anche il profilo nutrizionale del prodotto finale possono variare considerevolmente. In generale, sono stati identificati nei lieviti madre diverse specie: Lactobacillus, Leuconostoc, Weissella, Pediococcus, e i generi Streptococcus.

2. Pane con lievito madre ed intestino

Riguardo la salute gastrointestinale, ad oggi, sono necessari ulteriori studi per stabilire che impatto abbia il pane a lievitazione naturale sul microbiota intestinale.

3. Pane con lievito madre e FODMAP

Le tecniche tradizionali di lavorazione del lievito naturale riducono il contenuto di FODMAP tramite fermentazione. Infatti, il processo di lievitazione naturale può abbassare il contenuto di fruttani nel pane, zuccheri oligosaccaridi (la O di FODMAP) non digeribili e fermentabili, risultando così meglio tollerato dai pazienti con IBS.

Durante questo periodo, il lievito e i batteri si nutrono dei carboidrati nella farina (compresi i FODMAP) e tramite il processo di fermentazione iniziano a scomporli. Questo cambiamento nel contenuto di carboidrati è opera dei microrganismi del lievito naturale, in particolare i lieviti Saccharomyces cerevisiae e Kluyveromyces marxianus che degradano gli oligosaccaridi.

Infatti, sembra che i batteri lattici e i lieviti producano enzimi (chiamati fruttanasi e invertasi), che possono “rompere” le catene di fruttani, utilizzando come nutrimento anche il fruttosio che viene rilasciato. Il risultato finale è un pane a ridotto contenuto di FODMAP.

 Il tipo di farina utilizzato può fare la differenza perché alcuni microrganismi a lievitazione naturale sono migliori di altri nell’abbattere i fruttani. Quindi, non esiste un prodotto finale standard con definiti valori di FODMAP, ma esso deve essere sempre testato per trovare la propria soglia di tollerabilità.

Conclusioni

I cibi fermentati apportano benefici al microbiota intestinale?

Una revisione del 2019 ne ha confrontato di diversi: kefir, kombucha, crauti, tempeh, natto, miso, kimchi, pane a lievitazione naturale. Sono stati studiati i loro meccanismi d’azione (compreso l’impatto sul microbiota) ed evidenziati gli effetti sulla salute e sulle malattie gastrointestinali negli esseri umani.

Purtroppo infatti, ad oggi, la risposta non è del tutto chiara. Esiste un numero limitato di studi clinici condotti che indaga i benefici per la salute dei cibi fermentati. Pertanto, attualmente è difficile dire se il consumo di cibi fermentati promuoverà la crescita di batteri buoni nel nostro intestino.